10 Marzo 1948, Primavera in arrivo … da un racconto di Lino Battan
Era un giorno di questi, un giorno di marzo, della seconda settimana ricordo, si perchè in quelle dolci serate, al rientro dal lavoro, i signori Maggio e Antico erano tutti presi e indaffarati attorno alla chiesetta del Pigozzo. Io, curioso come sempre, tenendomi un po’ in disparte per non disturbare, seguivo loro intenti con scale, aste e nastri di misura a rilevare distanze e a tracciare schizzi su un grande foglio di carta poggiato su un tavolinetto, chiedendosi ripetutamente se in due settimane sarebbero riusciti a realizzare l’intero impianto di illuminazione sulla facciata della chiesetta in tempo per la Sagra del Pigozzo. Ogni sera arrivavano con cose nuove, fasci di profilati di legno, martelli e chiodi di varie misure, matasse di treccia per impianti e di cavi elettrici e scatoloni pieni di portalampade e lampadine, viti e tante altre minuterie. Che curiosità, avrei voluto metter mano un po’ su tutti gli oggetti ch’erano in giro ma dovevo rispettare il loro lavoro, evitare di stare fra i piedi e non intralciare, mentre mentalmente cercavo di capire cosa avrebbero realizzato per il giorno della Sagra.
Si, come dicevo era un giorno di questi, il clima era già mite, si stava bene, uscendo da scuola a mezzo giorno l’aria mi sembrava diversa dal solito, più limpida, la luce più cristallina, i colori tutt’in giro più brillanti, i pochi rumori quasi assopiti, gli odori più incisivi, anche se appena percepibili, come l’odore dell’asfalto e del gas lasciato da un qualche mezzo in transito, il dolce odore dell’acqua del canale e poi, passando davanti alla farmacia, gli odori tipici dei medicinali e delle spezie, più avanti quelli caldi delle lavorazioni meccaniche delle Officine Galileo, alla salumeria d’angolo il profumo ricco degli insaccati e pungente delle erbe aromatiche, vicino alla chiesa il richiamo dell’incenso, davanti al bar l’odore asprigno del vino novello e quello dolce degli alcolici, dal fornaio il caldo aroma del pane appena sfornato, il delicato profumo della farina ai mulini fra il frastuono della cascata dell’Arco di Mezzo, e nel mentre attraversavi una leggera barriera di acqua nebulizzata, a rinfrescare il viso, contro lo sfondo aereo potevi intravvedere facilmente un piccolo magico arcobaleno. A seguire il ronzio morbido delle turbine della centrale idroelettrica e sulla successiva piazzetta, nel ripetersi dei colpi meccanici dell’auto officina giù in fondo, eccoti sorpreso dalla meraviglia dei colori e dei profumi del piccolo e luminoso chiosco con esposti tutto attorno fiori, verdura e frutta fresca. Passato il magico istante, appena fuori del paese oltre il Ponte Nuovo, si apriva sotto un limpido cielo azzurro l’orizzonte verso argini e distese prative fino a scavalcare con la vista il canale del Rialto per correre attraverso le verdi lussureggianti campagne coltivate a frumento.
Ed è vero, ora è il tempo in cui l’aria sembra più leggera, persino più trasparente, vedo panorami fino a distanze inusitate e la leggera brezza salendo la sponda elicoidale dell’argine mi porta alle narici un chiaro sentore di primavera. In località Pigozzo il tutto viene sopraffatto delicatamente dall’inebriante profumo della gigantesca magnolia bianca dei Barison, che si respira fin oltre la villa Sannio, per ritornare poi ad un più moderato impegno olfattivo con un sottofondo di cera e d’incenso all’angolo della chiesetta. Ma ecco che proprio qui mi prende una nuova emozione, dalla bassa pianura laggiù dalla fattoria Salvan l’aria che arriva da sud-est lambisce la scarpata prativa della strada che con la sua forma a vomere alza delicatamente il flusso che in leggero movimento sfiora il prato ed il mio volto con un nuovo caratteristico profumo che delizia l’olfatto e… mi blocco, ed inspiro, inspiro più profondamente e concretizzo: è l’aria di primavera. Distendo tutti i sensi per un attimo ad inebriarmi e a soddisfarmi della nuova dolcissima percezione e finalmente concludo la mia febbrile ricerca con un nome: profumo di viole. Scendo a casa di corsa, vorrei prendere subito la sorellina per partire insieme a verificare se sono per davvero nate le prime viole, ma è l’ora di pranzo e la mamma aspettava il mio arrivo per mettere in tavola. Chiedo se appena finito posso andare con la bimba a coglierle. La mamma è un pò scettica non crede che ci siano già, ma appena sparecchiato, mi prepara la piccola Giusi, le fa calzare i sandaletti e, pian piano per mano, la guido lungo il prato dietro casa fino all’altezza del gigantesco pioppo della fattoria Salvan. Li, come ci avviciniamo al prato in declivio, che scende dalla Strada Alta, confermo alla piccola che sento l’inconfondibile profumo delle viole e la invito ad aiutarmi a trovarle. Ci spostiamo nella posizione dove già negli anni precedenti le avevamo trovate e difatti eccone una piccolissima quasi nascosta dai primi ciuffettini d’erba, il tempo di osservare meglio e ne scopriamo altre. La sorellina mi chiede di coglierne mille per la mamma ma io le spiego che non possiamo prenderle tutte, ci sono altri bimbi e altre mamme che aspettano di coglierne qualcuna e poi, se portiamo via tutti i fiori che contengono i semi, per il prossimo anno non ne nasceranno più. Allora mi chiede di coglierne qualcuna soltanto, perdiamo un pò di tempo per scegliere sette piccole viole dal colore molto intenso, dal penetrante profumo e col gambo lungo e, una volta legati insieme i gambi con un filo d’erba, consegno il mazzetto alla sorellina che tutta raggiante, mentre la sorreggo per mano, si avvia correndo ed incespicando verso casa. Arrivati la sollevo per metterla in braccio alla mamma, lei tutta eccitata si impapera più volte nel dire “mamma ecco le tue violette” mentre felice le schiocca un bacio sulla guancia con occhi che brillano.
E’ tempo di primavera, si respira la primavera, si vive la primavera e il pensiero e i sentimenti vanno a Giacomo Leopardi:
Primavera d’intorno.
Brilla nell’aria
e per li campi esulta,
si’ ch’a mirarla intenerisce il core
odi greggi belar, muggire armenti
e gli altri augelli contenti
a gara insieme,
per lo libero ciel
fan mille giri,
pur festeggiando il lor tempo migliore.